SVILUPPO SOSTENIBILE: dalla teoria alla pratica |
Atti della Prima conferenza sullo stato dell'ambiente - Livorno - 6/7 Novembre 1997 Provincia di Livorno |
Filippo Strati
Studio Ricerche Sociali
Innanzitutto, buongiorno. Ringrazio tutti coloro che hanno collaborato alla sintesi dei lavori che io ora vi presenterò.
Nel mio intervento, cercherò di riferire quale è stato l’andamento delle sessioni tematiche, quali elementi sono emersi da esse e che tipo di lezioni si possono apprendere da questo primo confronto. Tratterò temi ricorsi più volte da ieri mattina, quali: complessità ed indicatori, sostenibilità come visione di nuovo sviluppo, cosa vogliamo sostenere, come lo vogliamo sostenere, quali approcci possono usarsi per governare la sostenibilità. Infine, farò un riferimento all’Agenda 21 e al Forum, proposti ieri. Su questi punti ho riflettuto a lungo, esaminando tutta l'interessante documentazione che le sessioni hanno prodotto e che è estremamente vasta.
Esiste un profondo legame tra quello che stiamo facendo e le due parole d’ordine che ieri sono state lanciate. Da una parte, lo "sdoganamento" della dimensione ambientale; dall'altra, come procedere in modo dinamico dentro i processi europei. Tutti i programmi europei (per esempio, il prossimo 5° Programma Quadro sulla Ricerca e Sviluppo Tecnologico) sono chiaramente orientati verso la sostenibilità. Ciò significa che si investirà sempre più per interventi che re-indirizzano, riaggiustano e ridimensionano i convenzionali metodi e modelli di sviluppo.
Autorevoli persone hanno coordinato le sessioni tematiche che, come è noto, sono state le seguenti: risorsa idrica (Loris Ceccanti), aria (Carlo Garzelli), aree ad alta concentrazione industriale (Pietro Marini), energia (Daniele Verdesca), rifiuti solidi urbani (Gianfranco Magonzi), parchi ed aree protette (Reginaldo Serra), suolo (Nedo Volpini). A tutte le suddette persone chiedo profondamente scusa se non si ritroveranno pienamente in quello che sto dicendo. Esso è comunque frutto della discussione che ho avuto con loro e della loro collaborazione. Le invito quindi al dibattito per integrare quanto ho colto come contenuti emersi durante il lavoro delle sessioni.
La partecipazione è stata enorme. Il dibattito è stato veramente elevato. Il confronto di diversità di vedute ha alimentato il processo di conoscenza. Su tutta una serie di tematiche si sono manifestate molteplici vedute ed opinioni, e questo ha facilitato lo scambio di esperienze. Si è parlato di esempi, di casi in corso e così via. Si è creato un intenso scambio di buone pratiche. In sostanza, possiamo dire che la giornata di ieri è stata "di alto profilo". Pur avendo girato un po’ dappertutto, mi dispiace di non aver potuto assistere a tutto il vostro confronto, al quale ben 209 persone hanno attivamente partecipato, sperimentando un metodo che anticipa il Forum. Che cos’è il Forum, che ruoli esistono al suo interno, qual è il rapporto pubblico - privato, cosa fa l’amministrazione, cosa fanno le parti sociali, etc.? Risposte a queste domande sono state avanzate, nella pratica, già ieri. Ieri rappresenta l’inizio del Forum. Questa conferenza è stata un laboratorio di ampio confronto; ha prodotto una dovizia di materiale, di alta qualità e pregevole contenuto; esso, ora, va razionalizzato, sistematizzato, procedendo verso nuove fasi del Forum.
Parole chiave e cambiamenti concettuali
Quali sono gli elementi basilari emersi da queste sessioni tematiche? Essi possono essere sintetizzati nella combinazione di alcune parole chiave; quelle che, nonostante la specificità degli argomenti trattati e dei singoli settori, si sono ripetute da una sessione all’altra, acquisendo così un senso di trasversalità. Si tratta di una combinazione che, in base a quanto io ho potuto percepire, indica i principali spostamenti di orientamento teorico ed operativo verso nuovi criteri di sviluppo.
Sicuramente si è consapevoli che, se le varie esperienze attualmente in corso rimangono isolate, la loro potenzialità e utilità risultano essere limitate. C’è necessità di mettere in comune metodi, pratiche ed interventi promossi dalle parti pubbliche, private, associative, eccetera. Si è manifestata la volontà di partecipare, di essere coinvolti, perché, se lavoriamo insieme, possiamo avviare un processo innovatore in modo cosciente e condiviso.
Gli interventi per minimizzazione il rischio ambientale sono necessari ma non sufficienti. La valorizzazione sottolinea che gli interventi che noi facciamo sul versante ambiente non devono essere isolati dalle attività economiche e sociali che quotidianamente svolgiamo; devono diventare fattori promotori di sviluppo, e non semplicemente fustigatori di stili e comportamenti "nocivi". Quindi: da conservazione a valorizzazione. E' un passo in avanti consistente; significa che l’ambiente fa economia, e che la società può combinarli sinergicamente.
Quanto detto sopra significa che si è superato, si sta superando, il concetto della mera difesa dell’ambiente e si va verso uno sviluppo che viene aggettivato come "sostenibile".
Nelle sessioni, ovviamente, c’erano esperti, tecnici, operatori delle materie in esame. Ora, parafrasando Karl Popper, si potrebbe dire: attenzione agli esperti; l’esperto è utile nella misura in cui riconosce di non essere esperto, aprendo ed alimentando così, continuamente, la propria e l'altrui conoscenza. Nelle sessioni, tutti quanti hanno ovviamente raccontato le proprie esperienze, espresso i propri punti di vista, e così via; ma sono emerse chiaramente la necessità e la volontà di superare la visione settoriale dei problemi e dei fenomeni, per passare alla visione olistica dei processi; una visione in cui le diversità di opinioni, le diversità disciplinari, di approccio e di metodologie siano prese in considerazione e valorizzate. Questo cambiamento è di enorme importanza ed implica il passaggio dalla mono-disciplinarietà ad un linguaggio comune, interattivo ed integrato; utile ed usabile proprio perché multidisciplinare, riconoscibile e comprensibile. La sostenibilità è, quindi, anche un linguaggio, cioè un nuovo modo di pensare, ascoltare, parlare, lanciando, scambiando e negoziando significati e valori.
Tutti i temi portano al problema della qualità. Anche quando si parla di indicatori, non è la quantità dei dati e dei numeri che ci può consentire di avviare un processo di cambiamento, bensì la qualità degli indicatori impiegati. Ne parleremo tra poco
Tutti coloro che hanno partecipato alle sessioni hanno riaffermato, come ho già detto, la necessità e la volontà di collaborazione. Dobbiamo, in qualche modo, metterci in rete, creare un network di iniziative, di punti di eccellenza dell’imprenditorialità sostenibile. Un termine, quest'ultimo, usato oggi in chiave internazionale per sottolineare quella cultura tesa a massimizzare il crescente valore aggiunto delle iniziative locali per l'occupazione e lo sviluppo sostenibile.
Non più "privato o pubblico", bensì "privato e pubblico". In tutte le sessioni è emersa la consapevolezza del seguente assunto: il cambiamento è positivamente innovatore e va avanti solo se c’è una convergenza di intenzioni, di obiettivi, di metodi, di azione; se c’è una convergenza di visione dello sviluppo.
Altra questione importante è che, durante il dibattito nelle sessioni di lavoro nonché nelle relazioni scritte, sono emersi i vincoli, i problemi a questa nostra battaglia quotidiana per la sostenibilità. Cresce, però e sempre più, la consapevolezza che essi vadano recepiti come opportunità.
Le opportunità non piovono dal cielo, anche se, dal punto di vista ambientale, ciò può essere a volte vero! Le opportunità nascono dalla necessità di rispondere ad un bisogno; lì è l’opportunità. L’opportunità è la risposta al bisogno, il modo con cui si agisce in tale direzione. La soluzione dei problemi è la base fondamentale di qualsiasi spirito imprenditoriale e di qualsiasi innovazione culturale, disciplinare, tecnologica.
In vari interventi, si è sottolineato come i programmi contengano tutta una serie di obiettivi, però il problema è di renderli visibili "come risultati attesi". Voi sapete quanto me che cosa significa questo cambiamento (introdotto, ad esempio, da alcuni anni nell’amministrazione pubblica americana ed in altri paesi). Si tratta di prefigurare non l’obiettivo ma il risultato. Il ragionare in termini di risultato e l'esprimere chiaramente quale risultato vogliamo ottenere aiutano a superare la genericità e la lontananza dell'obiettivo. Infatti, il risultato è qualcosa di concreto ed a noi molto vicino; consente di vedere noi stessi proiettati, ad esempio tra due o tre anni, su cosa staremo facendo. La concretezza e la vicinanza vanno prima immaginate, raffigurate; vanno rese visibili per farle diventare realtà. Se non c’è immaginazione non c’è neanche concretezza; se non c'è visione dello sviluppo, non sappiamo come operare per ottenerlo. Paradossalmente, si è "visionari" solo se si è fortemente orientati al risultato, e viceversa.
Noi diamo spesso per scontato che l’analisi sia il monitoraggio. No! Analizzare serve a monitorare, ed il monitoraggio è molto più complesso dell'analisi. Monitorare significa riuscire ad apprendere dai fenomeni osservati, mentre essi avvengono: cosa sta succedendo, come si sta modificando una specifica realtà e, quando è possibile, rispondere al perché ciò accade. Ma, per monitorare, devo riuscire a modificare me stesso, i miei concetti, le mie metodologie di analisi ed intervento. Altrimenti, non vedo cosa sta muovendosi. Il monitoraggio quindi è un’azione dinamica; apre un processo di apprendimento e lo mantiene continuamente in vita; significa cambiare nel e col cambiamento, fare parte di esso.
Non c’è quasi più nessuno al mondo (e quelli che ancora ci sono vivono di vecchie illusioni) che pensi allo sviluppo come processo lineare, come mera crescita economica misurabile con qualche parametro statistico. Oggi giorno si ha molto più la consapevolezza della complessità dei fenomeni economici, sociali ed ambientali. Questo sembra dare minore certezza. Ma che cos'è la certezza? Stiamo attenti all'errore di sostituire quella che era la certezza del modello di sviluppo industrialistico (perseguito per due secoli "senza paure" perché tutto sembrava essere bello e progressivo) con la certezza dello sviluppo sostenibile. Lo sviluppo sostenibile è qualcosa di molto più complesso. Proprio per questo, è basato sull’incertezza e sui concetti che da essa derivano: quelli della precauzione scientifica e della precauzione di governo. Si tratta di principi basilari e metodi per la gestione del rapporto uomo - natura.
In altre parole, dagli interventi a valle a quelli a monte, nei processi produttivi e di vita. Questo è stato un altro elemento, direi, di unanime accordo durante le sessioni di lavoro. L'impatto ambientale delle nostre azioni e delle nostre attività ha origine nella fase del loro concepimento, si avvia con la loro messa in cantiere e prosegue per tutto il loro ciclo di vita, anche quando siano tramutate in rifiuto o riciclate.
Tutti i suddetti cambiamenti aprono dilemmi e pongono problemi. Quelli venuti fuori dal dibattito di ieri sono riassumibili come segue.
Dilemmi e problemi
A. La relazione ambiente e mercato
Occorre fare in modo che ci sia sempre più uno stretto legame tra ambiente e mercato. Tale consapevolezza risale a molti anni fa, ed ha assunto dinamiche locali specifiche. La riconversione economica in termini di sostenibilità e, quindi, l’incorporazione dell’ambiente nelle altre dimensioni settoriali richiedono di essere alimentate dal mercato. Questo significa individuare sbocchi per le varie iniziative, segmentare il mercato per influenzarlo, animarlo ed attivarlo verso la sostenibilità. Il mercato, come è noto, non è una cosa statica; è fatto di persone che producono e di persone che consumano. Il problema sembra quindi porsi nel modo in cui si creano convenienze affinché i processi di sostenibilità vadano avanti. Qui c’è tutto un armamentario ormai molto raffinato di intervento sulla domanda.
B. La relazione domanda e offerta
Finora in molti settori si è preferito l’intervento sull’offerta per inseguire la domanda o condizionarla. Oggi è sempre più chiaro che intervenire sulla domanda significa cominciare a porsi veramente il problema del cambiamento degli stili di vita e di produzione. Dobbiamo fare quello che fanno gli stilysts, i designers, i creativi, cioè stimolare la creazione di nuovi stili di vita, aiutando gli altri e collaborando con loro per trovare nuove modalità comportamentali. Questo si fa con forte motivazione creativa anche perché siamo di fronte (e questo è un altro degli aspetti che è emerso) a crisi.
C. La relazione crisi e diversificazione
Le crisi sono "naturali". Non ci dobbiamo sgomentare. Le crisi significano "scelta". E noi scegliamo, ovviamente, nei momenti di necessità, nei momenti in cui siamo, come si dice , in crisi. Oggi la scelta non può essere che quella di diversificazione e integrazione. Direi che queste parole sono state fra le più usate nei vari interventi. Esiste la consapevolezza che, se non si diversifica e, quindi, non si rispettano le diversità e le entità locali (soggettive, culturali, economiche e naturali e così via) non si può neanche avviare un processo di sviluppo. Però le azioni devono essere integrate; non devono assolutamente essere settoriali.
D. La relazione temporaneo volontarismo e durevole fattibilità
La sostenibilità è un processo che non può essere più lasciato solo al volontarismo, allo spontaneismo ed alle buone volontà. E' un processo che deve essere sostenuto anche da un punto di vista di fattibilità economica. Questa esigenza è venuta fuori in tanti casi. Fra l’altro, ho avuto l’opportunità di cogliere questo aspetto analizzando la Val di Cornia e la provincia di Livorno nell’ambito di un progetto europeo che compara cinque regioni europee e che si chiama INSURED (Instruments for sustainable regional development). Viene fuori l’esigenza di fattibilità come processo sano e saggio di gestione delle risorse, rimettendo insieme: l’aspetto economico delle iniziative; quello ambientale; quello socio-culturale. E’ un percorso di innovazione della cultura, della mentalità, dei modi di agire. C’è l’esigenza di creatività, dove creatività è concretezza. La creatività è costituita dalle cose che si realizzano, non da quelle che si pensano ma che restano incompiute. La creatività usa anche parametri di natura economica, quali la "scatolina" dei costi e benefici. Allora, il problema diventa un po' più complesso perché gli interventi di riconversione e di riorganizzazione per la sostenibilità dello sviluppo richiedono lungo tempo, incubano in un lungo tempo e, quindi, vanno pensati in un lungo tempo: per il bene delle generazioni future.
E. La relazione tra controllo ambientale e profittabilità "eco"nomica
Dal controllo ambientale si sta passando a qualcosa di diverso che è legato al concetto di fattibilità e di mercato. Si tratta di una profittabilità "eco"nomica dove eco sta per ecologico, cioè è una economia ecologica. Ci sono casi concreti, in Europa ed altrove, nei quali si passa dal concetto di eco audit (contabilità e controllo dell’impatto ambientale e del danno ambientale dell’impresa) ad un altro concetto: quello della riorganizzazione aziendale affinché si raggiunga il profitto basato sulla sostenibilità, come visione filosofica della riconciliazione dell’uomo con la natura, attraverso azioni quotidiane relative all’organizzazione dei fattori produttivi ed ai flussi dei materiali (a monte, durante e a valle del ciclo produttivo, per la riduzione dei rifiuti, per il loro riciclo, per evitare la discarica). La trasformazione del ciclo produttivo diventa profitto, "eco-profit". Si organizzano premi per stimolare l’imprenditorialità all’eco-profit. Si premiano le imprese che ogni anno realizzano migliori risultati in termini di eco-profit.
F. La relazione pubblico e privato intesa in termini imprenditoriali
L’abbiamo richiamata più volte. Non è solo una questione di volontarismo e di buone volontà. Occorre cambiare la cultura. Il privato non si può trovare di fronte un pubblico che dice cosa fare ma crea ostacoli amministrativi e burocratici. Il settore pubblico deve trasformarsi con forti iniezioni di cultura socio - imprenditoriale. Anche qui non sto a dire quali sono le soluzioni. Ci sono delle trasformazioni in atto (si vedano le leggi nazionali "Bassanini" e quelle della Regione Toscana sulla sussidiarietà ed il federalismo amministrativo). Ma quanto vale per il pubblico, vale anche per il privato. Il settore privato deve acquisire una cultura di responsabilizzazione sociale e ambientale o, come dicono i giapponesi di "Kyosei". E’ dalla responsabilità sociale ed economica che si ricava profitto, non l’inverso. Perché se non si ha questo senso di responsabilità verso i clienti e l’ambiente, non si può migliorare il rapporto con la gente; non si esprime qualità; e, se non si ha qualità, non si avranno più clienti nel lungo periodo.
G. La relazione ruoli e regole del gioco
I ruoli sono legati agli attori e vanno definite le regole del gioco. E allora le regole del gioco non vanno determinate asetticamente, non sono il prodotto di qualche ingegnere amministrativo. Sono regole che vengono concertate, stabilite tra i soggetti, gli attori. Qui è la forza del patto, il concetto del patto. Il patto non è uguale per tutte le realtà territoriali. Il patto è bello se riesce a articolarsi sulle diversità, sulle valorizzazioni delle capacità locali e se trova sempre soluzioni diverse. Speriamo che non ci sia mai un patto territoriale uguale ad un altro. E, se i patti territoriali vengono esaminati ex-ante e non ex-post dal punto di vista dell’impatto ambientale, vuol dire che danno un contributo al cambiamento della mentalità imprenditoriale e della cultura del patto. Questo aspetto è forse sfuggito a chi ha ingiustamente travisato, nell’articolo di oggi sul Tirreno, la relazione introduttiva dell’Assessore Paola Reggiani.
H. La relazione promotori e destinatari
C’è un problema grosso: quello del coinvolgimento degli attori, cioè dei soggetti promotori e dei destinatari delle specifiche azioni di intervento. Non basta più l’informazione. Va stimolata la partecipazione. Nelle buone pratiche delle varie esperienze rivolte alla sostenibilità, che ormai sono per tutto il mondo, parte rilevante riscontra la partecipazione, con la ricerca di metodi ed esempi di adeguate soluzioni locali.
I. La relazione rischio e attore
Altro elemento interessante è quello relativo a rischio e vulnerabilità. C’è ormai la consapevolezza, come ribadito ieri, che rischio e limite sono punti fondamentali del cambiamento rispetto alla sconsideratezza umana nell’utilizzo delle risorse. L’uomo che ha cercato di dominare la natura da molto tempo, oggi si rende conto che con la natura deve collaborare, che deve riconciliarsi con essa. Il rischio è ormai non più soltanto di natura individuale, è globale. La vulnerabilità richiama in causa anche il concetto di sussidiarietà, perché è emerso che la responsabilità è di tutti. Tutti sono chiamati in causa rispetto alla dinamica del danno ambientale, perché esso dipende da quanto ognuno fa quotidianamente. Ognuno è quindi responsabile del modo in cui gestisce la propria autonomia.
L. La relazione politiche di programma (o piano) ed iniziative locali
Occorrono misure di supporto a favore dello sviluppo di iniziative locali, perché abbiamo bisogno di esempi, abbiamo bisogno della messa in rete di buone pratiche e di punti di eccellenza in questo comune percorso verso la sostenibilità dello sviluppo.
M. La relazione tecnologia e mutua influenza culturale
Altro punto che è emerso è quello relativo a tecnologia, metodi e strumenti. Ce ne sono tanti e sono raffinati e belli. L’aspetto fondamentale è però legato ancora alle iniziative locali innovative. Esso riguarda la trasferibilità delle esperienze e la combinazione pro-attiva delle culture. Dobbiamo sempre pensare al modo in cui questo patrimonio (che è capitale sociale) può essere reso trasferibile. E’ un concetto che riguarda lo scambio comune, il modo di vedere e di procedere, la mutua influenza. E, allora, queste cose vanno pensate per renderle facilmente accessibili a tutti.
Alcune lezioni derivate dalla pratica quotidiana
Prima. La sostenibilità richiede lunghi tempi e ampie prospettive
Mi sembra che, dai ragionamenti fatti in questa conferenza, si sia tutti coscienti che lo sviluppo sostenibile richiede una lunga incubazione. In altre parole, esso richiede un pensiero strategico di lungo periodo. Pensiero che deve essere olistico, come già prima specificato.
Nell’analisi della Val di Cornia, già citata precedentemente nell’ambito del progetto europeo INSURED, sono emerse alcune tappe che orientano allo sviluppo sostenibile. Ovviamente, queste considerazioni riguardano la Val di Cornia, non altri casi. Si tratta di tre fasi. La prima riguarda l’acquisizione della conoscenza, del know-how. E’ la fase dell’apprendimento, dell’animazione, della creazione di precondizioni. La seconda fase riguarda l’uso della suddetta conoscenza per supportare e stimolare altre iniziative spontanee. La terza fase è quella che conduce alla massa critica, in cui lo sviluppo sostenibile diventa ormai a portata di mano, fluido. In essa ci si rende conto che stiamo facendo la sostenibilità, non più come una cosa inventata da qualche matto ma come pratica reale.
In Val di Cornia, c’è stata una fase che io chiamo "zero", rappresentata da un’incubazione profonda ed iniziata alla fine degli anni ’60 per durare sino agli anni ’80. In essa è prevalso il concetto di protezione ambientale, di tutela ambientale. Si tratta di un background storico. In tale ambito, le iniziative che noi abbiamo esaminato hanno impiegato 16 anni per arrivare alla fase attuale che sembra essere quella della massa critica. Ciò fa sperare in una Val di Cornia come fattibile laboratorio di distretto sostenibile, anche in contrapposizione alla mitologia del cosiddetto distretto industriale, da ritenere, per molti versi, un modello di sviluppo ormai giunto ad elevata maturazione e ad alta pressione ambientale. La Val di Cornia potrebbe candidarsi ad essere un distretto sostenibile. Essa ha impiegato 16 anni per raggiungere tale soglia.
In altri casi, con la conoscenza odierna, sarà possibile accorciare i tempi. Infatti, siamo ormai molto più consapevoli del cambiamento necessario per entrare nel percorso verso la sostenibilità . Tant’è che qui a Livorno si fa una conferenza di alto tenore. Alcuni principi sembrano essere ormai comuni a tutti noi, tra cui il pensare in lungo periodo, in termini olistici, il mettere insieme ambiente, economia e socio-cultura, il curare le loro forti interdipendenze. E’ del resto quanto avete detto voi finora.
Seconda. Lo sviluppo sostenibile è quello che promuove pari opportunità
Voi saprete tutti quanti dell’esistenza di un antico proverbio keniano, citato ormai in molta letteratura. Esso rappresenta il modo più semplice ed immediato per definire cos’è la sostenibilità dello sviluppo. Dice semplicemente questo: "noi non ereditiamo la terra dai nostri genitori, la prendiamo in prestito dai nostri figli". Tale concetto di sostenibilità riecheggia nella definizione data dalla Commissione Brundtland. Successivamente è arrivata la dichiarazione di Rio, e così via. La base delle diverse formulazioni è però la solita. La natura, l’ambiente, le risorse etc. non sono roba nostra, ma di quelli che vengono dopo, l’abbiamo presa in prestito da loro. Quindi dobbiamo dare loro le stesse opportunità per sviluppare potenzialità di sviluppo, migliorando quelle che sono in nostro temporaneo possesso. E’ un concetto di equità e di solidarietà.
Terza. Occorre agire per aree omogenee
Individuare ed agire per aree omogenee non vuol dire riferirsi ad aree uguali, piatte, omogeneizzate come fossero un prodotto della Plasmon. Un’area è omogenea nella misura in cui si "auto - sostiene", esprimendo una dinamica tale da consentire una completezza di diversità. Teoricamente, un’area è completa quante più diversità ha al suo interno. Questo è un principio olistico. Non siamo tutti uguali, per fortuna. Però siamo più completi quanto più siamo diversi. Un’area omogenea è quella che costituisce un sistema di incubazione; esprime una vitalità di elementi che consentono di cambiare i modelli di sviluppo convenzionali. La sua diversità interna permette, contemporaneamente, diversificazione ed integrazione economica, culturale, sociale. Apprendiamo dalle funzioni interne di un ecosistema. L’ecosistema si basa sulla relazione esistente tra le diversità, sul rispetto delle diversità. La diversità implica la sussidiarietà. Entrambe contribuiscono alla sostenibilità di un sistema.
Quarta. Occorre esprimere un alto contenuto di sussidiarietà
La sussidiarietà avviene soltanto se ci sono due modi di pensare che si sposano. E’ una specie di matrimonio tra chi sta al top (vertice) e chi sta al bottom (base). Il problema è come essi si rapportano reciprocamente. Quali sistemi, quali processi esistono tra questi due livelli? La sussidiarietà Toscana, fatemelo dire, è uno dei punti avanzati non solo in chiave italiana ma europea, dal punto di vista del modello istituzionale, informale e sociale. Per esprimere in poche parole il concetto di sussidiarietà, si può parafrasare un famoso slogan. La sussidiarietà impone che colui che sta al top, il decisore politico a qualsiasi livello sia collocato, sia in grado di pensare localmente e agire globalmente. Cioè, deve avere la capacità di pensare localmente, perché il suo riferimento è alle diversità del territorio, mentre agisce globalmente. Per contro, chi sta a livello più basso deve invertire il ragionamento, pensare globalmente per agire localmente. L’interazione tra questi due modi di pensare ed agire consente di rendere possibile che l'approccio top-down alimenti quello bottom-up. Vanno pensate e attuate procedure, norme, stili di vita, relazioni, comunicazione, azioni, etc. come ciclo complesso, senza fine e progressivo.
Quinta. Per valorizzare la diversità, occorre rafforzare partnership e networking
E’ la diversità che alimenta la partnership ed il networking. Infatti, se non c’è diversità, se siamo tutti quanti standardizzati e forzatamente uguali, ci si annoia; non c’è dinamicità. Per contro, sono necessari il confronto, lo scambio di esperienze.
Sesta. Per valorizzare la diversità occorre rafforzare partecipazione ed equità
Quindi, diversità significa partecipazione e, dato che non siamo tutti uguali, occorre essere fortemente orientati ad una saggia equità.
Settima. Occorre aumentare la nostra capacità di leggere la complessità
Noi abbiamo esaminato sette aree tematiche e abbiamo raggiunto un comune consenso sul fatto che esse sono tra loro trasversali. Se ne avessimo aggiunte altre, cosa sarebbe successo? Non sono forse altrettanto trasversali l’agricoltura, il turismo, i trasporti, etc.?
Tutti abbiamo la sensazione che la partita attuale non si gioca più settorialmente. Abbiamo bisogno di strumenti di lettura della complessità, quali, forse, il "macroscopio" proposto dal CIGRI.
Se, per gioco, guardiamo le interdipendenze tra le suddette aree tematiche, comprendiamo il senso della complessità. Essa è un modo, molto affascinante, di vedere i fenomeni e gli eventi secondo un ordine olistico. In anni, che speriamo siano ormai lontani, abbiamo invece pensato secondo un ordine razionale, dove ogni causa dava un risultato, come sommatoria di fasi sequenziali. Abbiamo immaginato la nostra vita quotidiana come una sequenzialità di modi di essere e di agire. Ma la vita reale non è così. Apriamo gli occhi! La vita è molto più complessa; è interagente, interattiva. Causa ed effetto si mescolano per assumere similarità di ruolo. Sono fortemente variabili e flessibili, non si distinguono più. Non sono più lineari, ma interconnesse. Attenzione: complessità non significa complicazione. Noi possiamo temere fenomeni complicati, ma saremmo fortemente infantili ad aver paura della complessità, giacché essa è vita. Dobbiamo apprendere a vedere i fenomeni, gli accadimenti come essi sono nella realtà, ossia olistici, cercando quindi quali sono gli elementi che mettono insieme, raccordano e unificano differenze e diversità. Dobbiamo vedere l’insieme più che esaminare dettagliatamente la singola componente. Il nostro corpo ci aiuta. Esso non è separato dalla mente; ha un ordine, che non riusciamo spesso a comprendere, ma che è frutto dell’interazione tra tutte le sue componenti. E’ un sistema relazionale.
Ora accade che noi definiamo come caotico quanto non sappiamo interpretare. Chiamiamo caos un ordine che è semplicemente diverso da quello che noi pensiamo debba corrispondere al nostro modo convenzionale e lineare di interpretare le cose. In realtà siamo noi a fare caos, non quello che succede. Paradossalmente il caotico sono io, quando cerco di dare un "mio ordine" alla mia percezione della realtà. La realtà è, quindi, per sua natura complessa, perché ha dinamicità, progressività, conflittualità e negoziazione permanente.
Ottava. Occorre avere degli orientatori per leggere la complessità
Attenzione va posta anche agli indicatori. Essi sono una cosa bella, sono importanti, sono sempre stati basilari per l’uomo, almeno da due secoli a questa parte. L’uomo non sa vivere senza indicatori; ha bisogno di indicatori del suo peso, delle scarpe, della taglia, è un modo quotidiano di operare. Sono dati ed informazioni determinati da noi. Corrispondono allo sviluppo che, essendo per definizione antropocentrico, noi vogliamo determinare. Quindi gli indicatori ci dicono cosa vedere, leggere, sentire, nella misura in cui lo vogliamo.
L’indicatore non è quindi più solo un numero. E’, a sua volta, complesso, lo scegliamo noi e viene dimensionato ai nostri valori. Se è vero che qualche indicatore sembra avere una valenza generale e trasversale, la maggior parte degli indicatori della sostenibilità è specifica, legata al contesto locale. Non si può prendere un indicatore dall’Irlanda e portarlo asetticamente in Italia, quello italiano in Kenya, quello keniano a New York, e così via. Gli indicatori sono fortemente legati alle dinamiche sociali e culturali e valoriali delle popolazioni.
Siccome abbiamo bisogno di qualche certezza in più per dare supporto ai decisori politici e tecnici si arriva anche a quantificare gli indicatori.
Allora abbiamo forse più bisogno di orientatori che indicatori. Gli orientatori aprono delle prospettive. Gli orientatori cambiano. Immaginate che essi siano degli occhiali.
Noi fino ad ora abbiamo letto le dinamiche di sviluppo secondo quelle che erano le nostre convenzioni passate, le scuole economiche di questi ultimi 200 anni fa. Ad un certo punto abbiamo cercato a leggerle in modo diverso, e allora è venuto fuori il problema dell’attendibilità dei dati, della loro mancanza. Ma perché non ci sono quei dati né quell’attendibilità che ora tanto desideriamo? Semplicemente perché tempo fa cercavamo altre cose, avevamo altri valori, eravamo orientati verso altre prospettive. Ed in accordo con tali valori, non facevamo che misurare il nostro percorso in termini di ricchezza materiale, monetaria, di crescita di popolazione, etc. Erano questi gli indicatori prevalenti.
Ora, se il problema fosse semplicemente di avere in qualche modo la certezza del percorso che facciamo, tramite gli indicatori potremmo essere nuovamente tranquilli; ce ne sono ormai a montagne. Non sono gli indicatori a mancare, sono gli orientatori, ossia i valori di riferimento per una visione di sviluppo condivisa pienamente dalle comunità locali e finalizzata alla salvaguardia di pari opportunità anche per le future generazioni.
L’orientatore serve a darci una visione complessa. Deve, quindi, come avvenne con il primo quadro cubista, rompere quello che sembra essere l’immediata realtà, ossia la consueta percezione di essa. L’orientatore deve darci la visione di quale dinamica è in atto, quale processo stiamo costruendo in un sistema che oggi ci appare complesso. Ma l’orientatore deve darci anche la possibilità di visione del futuro, per fare delle scelte, aprire opzioni e decidere modalità comportamentali. Infatti, come abbiamo già visto, se io determino alcuni risultati aspettati e, in qualche modo, li quantifico e li qualifico, devo anche stabilire delle modalità comportamentali per raggiungerli.
Nona. La sostenibilità è un concetto sia antico che nuovo
La sostenibilità è un concetto per metà antico e per metà nuovo. Pesca in moltissime culture ed ha ormai una valenza universale. E' per metà nuovo perché è stato "riscoperto" una trentina di anni fa, almeno dalla conferenza dell’ONU sull'ambiente umano (Stoccolma, 1972). Da allora la nostra conoscenza su cosa può essere la sostenibilità è sempre più è cresciuta. Si è giunti alla Dichiarazione di Rio (1992), alla carta di Aalborg sulle città sostenibili (1994). Si è articolata l'azione con un'intensa campagna per le Agende Locali 21. Ormai esistono punti di riferimento che vanno tradotti in concrete missioni. Basti ricordare la Dichiarazione di Rio. Essa è ricca di ben 27 principi che sta a noi rendere modalità di azione e di vita quotidiana.
C’è una concordanza generale nel ritenere che la sostenibilità abbia rappresentato e costituisca l'emblema di una svolta epocale. Si tratta di un concetto che esprime una nuova visione dello sviluppo; quella, come ho già detto, basata sulla collaborazione dell'umanità con la natura, sulla loro riconciliazione. La conferenza internazionale, promossa della Regione Toscana nei giorni 13 e il 14 della prossima settimana, si focalizza proprio su tale principio.
Due elementi sono basilari per la sostenibilità: le risorse e l'equità. Messi insieme implicano la domanda: come usiamo la risorsa?
La risorsa è intesa come insieme di tre capitali, come è stato sottolineato in questi due giorni: il capitale naturale, quello umano e quello creato dall’uomo.
L’equità è intesa come missione dell’umanità nelle sue articolazioni. Imprenditori, autorità locali, tutti quanti devono agire per integrare e combinare gli aspetti economici ed ambientali, sociali e culturali dello sviluppo, seguendo principi di equità. Esistono almeno tre principali dimensioni di equità: l’equità sociale tra i diversi soggetti di una comunità locale; l’equità interlocale, interregionale, etc. tra le diverse comunità locali; l’equità intertemporale tra le diverse generazioni (quelle presenti e quelle future).
L'uso delle risorse secondo i principi di equità implica quindi missioni e stili di governo, non intesi soltanto come gestione della "cosa pubblica", ma anche come management, conduzione della propria vita, governo dei fattori della complessità di un’area. Uno stile di governo e di gestione che deve basarsi sulla sussidiarietà, sulla partecipazione, sulla partnership, sul networking per valorizzare, lo abbiamo già detto, la diversità.
La sostenibilità può essere, allora, intesa come idea regolativa, perché ci consente di regolare le nostre relazioni e le nostre attività, non in termini prescrittivi ma creativi ed in continua innovazione. Come altri grandi concetti (libertà, solidarietà, fratellanza, etc.), essa si basa sul senso di responsabilità individuale e sociale di fare agli altri quello che vorremmo gli altri facessero a noi.
Parafrasando Kant, si tratta di un meccanismo fortemente comportamentale legato ad una visione di vita. In questo caso, quella della riconciliazione tra umanità e natura.
Come dosiamo gli ingredienti a nostra disposizione (le risorse, appunto) dipende da noi. I cuochi della sostenibilità siamo tutti noi. Non esiste un unico modello, un’unica soluzione per procedere verso la sostenibilità; ne esistono molteplici.
Decima. Occorre costruire un linguaggio comune e cambiare i nostri occhiali
Dobbiamo però costruire un comune linguaggio, facilitare una comune e reciproca comprensione dei processi che possono condurci verso la sostenibilità. Ritorna ad essere necessario l'occhiale con il quale leggere la complessità su cui cammina la sostenibilità. Abbiamo bisogno di un occhiale che consenta di osservare, monitorare, valutare e decidere. Un occhiale tridimensionale forse, quale quello che abbiamo cercato di determinare nel progetto europeo già citato. INSURED ha individuato tre dimensioni da tenere sempre sotto esame: quella settoriale; quella di equità, quella organizzativa. Ognuna di esse contiene specifiche componenti. L'aspetto determinante è la loro funzione integrata ed interattiva, come fossero leve di comando; 10 leve in tutto.
Esse ci sembrano riconfermate da discussioni, confronti e dibattiti in varie parti d'Europa, come qui a Livorno.
La dimensione settoriale aiuta a rispondere a "cosa vogliamo sostenere" combinando le leve dell'ambiente, dell'economia e della socio-cultura. Occorre avere la consapevolezza dei limiti nell’uso delle risorse naturali e definirli localmente in rapporto alle vocazioni ed alle potenzialità economiche ivi esistenti al fine di soddisfare i bisogni umani dell'area esaminata. Va stimolato l’efficiente uso ambientale delle risorse. Una tecnica da perseguire è la riduzione del flusso dei materiali. Come è noto, si tratta di esaminare le fasi di un ciclo produttivo e ridurne lo spreco di risorse naturali sin dall’entrata delle materie prime, alla loro trasformazione, all’uscita del bene o del servizio prodotto, alla sua utilizzazione, al suo reimpiego, al riciclo delle sue componenti, limitando così la sua messa a "rifiuto".
Per rendere possibile la combinazione tra componente ambientale ed economica, occorre agire su quella socioculturale, cioè mantenere e sviluppare il potenziale di capitale umano locale tramite un continuo processo di apprendimento.
La dimensione di equità aiuta a rispondere al "come lo vogliamo sostenere", combinando le leve dell'equità sociale, interlocale ed intertemporale. Un punto di riferimento è costituito dalla realizzazione delle pari opportunità tra uomini e donne per promuovere il benessere delle comunità locali. Ma ciò non basta, occorre definire azioni per lo sviluppo di equità interlocale, interregionale e internazionale, ossia di relazioni solidali tra varie comunità e realtà locali. Attenzione va posta sull'equità intertemporale. Questa in genere, sulla base delle indagini da noi fatte, costituisce un punto di consistente debolezza. La diamo sempre per scontata, siccome pensiamo che quanto facciamo oggi ricada comunque positivamente su quelli che verranno dopo. Dobbiamo invece abituarci a pensare nel lungo periodo, come facevano alcune antiche tribù indio - americane capaci di "visioni" fino alla settima generazione. Dobbiamo raffinare tale capacità di essere visionari, di vedere il futuro, ma con forte senso del limite. Non dobbiamo decidere quello che devono fare le future generazioni, condizionandone o limitandone le possibilità di autonoma scelta. Ricordiamoci che noi abbiamo una percezione di tempo e spazio legata alle dinamiche della nostra vita quotidiana. Abbiamo una percezione tridimensionale: il presente del presente; il presente del passato; il presente del futuro. Si tratta di tre dimensioni che agiscono tra di noi e che non possono essere, come invece spesso speriamo, "oggettive".
Sono sensazioni, intuizioni, rappresentano "realtà virtuali". Ecco perché è fondamentale pensare in termini di equità intertemporale. Da esso dipende come agiamo per il mantenimento e lo sviluppo del capitale naturale, del patrimonio culturale, etc. Tali azioni devono includere il risanamento e il miglioramento di quello prodotto dall’uomo, l’evoluzione del capitale umano, la piena considerazione e il contenimento di tutti i possibili rischi. Come si può notare, l'equità intertemporale è molto più impegnativa di quanto si possa credere e riguarda tutte le nostre azioni. Si tratta di decidere quale, secondo noi, è la parte buona della mela e quale è la parte cattiva della mela; quale vogliamo lasciare come opportunità alle future generazioni e quale no.
Infine, la dimensione organizzativa (o sistemica) ci aiuta a governare i processi e la dinamica della sostenibilità e della complessità in cui è incastonata, combinando le leve della diversità, della sussidiarietà, della partnership (e networking) e della partecipazione.
Il principio della diversità va applicato in ambito ecologico e nei modi di operare quotidiani individuali, sociali e delle amministrazioni. Si tratta di innovare gli stili di governo, di management, di vita familiare e comunitaria. Riferimenti basilari sono, lo voglio ripetere ancora, la sussidiarietà, la partnership ed il networking, la partecipazione.
Questo occhiale tridimensionale è aperto alla trasformazione. Allo stadio attuale è necessario per comprendere l'interazione e l'interdipendenza tra le 10 leve. Ad esempio, si potrebbero avere bellissime politiche ambientali, ma se non c'è sussidiarietà, se le scelte non sono fatte con la partecipazione dei cittadini, se non si creano partnership e networking tra operatori, tra gli attori locali ed esterni, se non si valorizzano le diversità culturali, individuali e così via, se non si decide cosa lasciare di buono in eredità ai nostri figli; in poche parole, se non sincronizziamo le 10 leve, è probabile che il nostro piano sia ambientalmente corretto ma non sia comunque un piano sostenibile.
Bisogna essere consapevoli dell'evoluzione avvenuta in questi ultimi trenta anni: la sostenibilità è uscita dalla sua marginalizzazione come aspetto ecologico; è stata "sdoganata"; non è più soltanto una questione ambientale; la sostenibilità pervade tutti i fattori dello sviluppo, a partire dall'essere umano. Infatti, come le suddette 10 leve vengono combinate dipende solo da noi. Non c’è una regola scritta e non si può dire ad aree ed attori diversi di usare lo stesso e, magari, standardizzato modello. Tutto questo proprio perché occorre fare riferimento ad alcuni criteri forti, e cioè: rispetto dell’integrità dei sistemi ecologici; mantenimento e sviluppo dell’ambiente modellato dall’uomo; recupero del patrimonio. La sostenibilità, come già detto, non si scopre oggi, implica comunque la combinazione tra cambiamento e continuità. E' un cambiamento nella continuità della nostra vita e non dobbiamo buttare via nulla delle nostre diversità culturali, storie, esperienze e valori di riferimento, bensì aprirle a nuovi concetti, integrarle e mescolarle in modo creativo per alimentare continuamente l'innovazione. E' questo mix che ci può aprire nuove prospettive, nuove opzioni.
Conclusioni
Allora cosa significa tutto questo? Siamo partiti da quanto è emerso dalle sessioni, da alcune parole chiave, da alcune lezioni fondamentali ed abbiamo scoperto che occorre cambiare gli occhiali di lettura, il modo di vedere i fenomeni attuali, passati e futuri. Leggere per mettere insieme, integrare e combinare differenti percezioni, orientamenti, esperienze. Osservare, monitorare per aprire opzioni diverse e poter decidere. Questa è una missione del Forum. Il Forum si fa stimolando la partnership, la partecipazione, la responsabilizzazione degli attori locali, rispettando pienamente le reciproche autonomie. Ecco perché deve coinvolgere attori pubblici, privati, sociali. Non ha significato fare un Forum di soli tecnici ed esperti. Si tratta di agire per un coinvolgimento delle forze dinamiche della società locale. Si tratta di stimolare una cultura pro-attiva, basata sulla fiducia e sulla collaborazione.
L’ICLEI, cioè l'International Council for Local Environmental Initiatives (associazione che include oggi quasi 300 città ed agenzie di tutto il mondo) ha da tempo elaborato alcune basilari linee guida per l'attuazione delle Agende 21 (locali e regionali) seguendo lo spirito della già citata carta di Aalborg. In tale ambito, molta attenzione è posta sul Forum. Esso è visto come luogo aperto e flessibile, fortemente orientato alla partecipazione, al coinvolgimento, alla crescita della consapevolezza per fare passi avanti, alimentare il processo della sostenibilità in un territorio, con il concorso di tutti: scienziati, esperti, politici, singoli cittadini, imprenditori, loro associazioni rappresentative e così via. L'obiettivo è quello di creare un clima favorevole al suddetto processo, alla decisione, al patto. Il Forum deve essere quindi aperto alla popolazione sin dall’inizio; la popolazione deve partecipare. Il Forum deve svolgere ricerca ed azione sul campo al fine di stimolare la nascita di costellazioni di iniziative e di attori locali. Il Forum deve essere aperto alle popolazioni interessate perché sua basilare finalità è l’identificazione di una condivisa visione di sviluppo sostenibile locale. Solo così è possibile fare il patto per uno sviluppo sostenibile. Nel Forum si decide cosa vogliamo sostenere, come lo vogliamo sostenere e che strumentazione ci diamo per sostenerlo. Nel Forum ci deve essere spazio per tutti, data l'importanza vitale di quanto viene discusso. Come abbiamo visto, esistono vari metodi, tecniche e metodologie per compiere questo percorso. Io ho cercato di mostrare anche alcune elaborazioni in corso d'opera, specificatamente quelle in cui lo SRS (Studio Ricerche Sociali) è attualmente coinvolto. Vi ringrazio quindi per aver ascoltato quanto ho detto e scusate se questo mio intervento è stato forse troppo lungo e noioso.